venerdì 27 dicembre 2019

Intercity Crotone - Torino

Valigie enormi preparate con cura dalla mia mamma.
Metteva i vestiti all'interno di una valigia grande, scarpe e cappotti in un'altra e lasciava una terza valigia per mettere dentro le prelibatezze della mia terra. La provola per zia Titina, la sardella, che fai? Non la porti a zio Arturo? 
taralli dolci, la pitta nchiusa, la sensazione era quella di non poter portare mai abbastanza per ringraziare dell'ospitalità. 
Ero eccitata all'idea di prendere quello che ai miei occhi appariva  come un serpente enorme, dalla coda infinita.
Invece era l'intercity Reggio Calabria - Torino delle 18.30 partenza da Crotone. 
Papà per prima cosa portava i bagagli nello scompartimento scelto e li sistemava con ordine uno accanto all'altro, noi lo seguivamo dietro. Mamma con un telo copriva i sedili di tessuto impregnati di tabacco e polvere. Le sue prime parole ci mettevano in guardia sul toccare  ogni cosa con le mani, curiose di premere tutto ciò che avesse la parvenza di un pulsante.
Dopo un' attesa ormai consolidata e condivisa il treno lasciava Crotone e iniziava il mio viaggio.
Attaccata al vetro, con l'alito creavo sul finestrino il mio album da disegni stilizzati, che prontamente scomparivano come le case che vedevo passando. 
Tuc tuc, tuc tuc, tuc tuc, il rumore delle giunture dei vagoni accarezzavano i miei ingenui pensieri facendomi perdere lo sguardo tra le stelle, immaginando di vederle cadere.
Alla stazione di Napoli, il primo risveglio. Una stropicciatina agli occhi e di nuovo al finestrino riprendendo la serie di disegni iniziati prima. Lo sguardo questa volta veniva catturato dalle luci delle finestre dei condomini dietro la stazione. 
Le tipiche case, piccoli condomini abbandonati a se stessi, panni stesi a caso, senza un ordine, cabine in allumino sui balconi con cumuli di cose. Alcune finestre erano accese alle 03.00 di notte.
Sentivo il profumo di caffè caldo, in effetti c'era, era mia madre che riforniva di caffè i vicini di posto e a mio papà, loro non chiudevano occhio. Ogni tanto uno chiedeva all'altro duvi simu?
E io attratta da quelle finestre cercavo di scrutare i pensili delle cucine, cercavo di capire se fosse sveglia una mamma o un papà, se fossero svegli entrambi e perché.
Forse il marito faceva il netturbino e doveva uscire presto e lei preparava il latte.
Oppure stavano litigando perché non avevano più soldi per pagare l'affitto.
Erano svegli perché il figlio piccolo aveva la febbre, oppure il figlio grande non era ancora tornato a casa. Io cercavo una spiegazione logica a tutto ma fino a Caserta dopodiché  crollavo nuovamente nel sonno profondo, tuc tuc, tuc tuc, tuc tuc.
A Cassino riaprivo un solo occhio ma non c'erano finestre accese, cosi lo autorizzavo a richiudersi.
Ogni tanto in lontananza sentivo qualche colpo di tosse e la porta a scomparsa che si apriva e si richiudeva. L'odore del treno era ovunque, faceva bene la mamma a mettere il telo.
A Firenze ormai era giorno, io ero ben riposata e avevo fame.
A quel punto mia mamma con un altro thermos versava il latte ancora caldo nella tazza di plastica,
 alla faccia degli ftalati e del bisfenolo.
Scartavo la mia crostatina e mamma poggiava la tazza sul minuscolo vassoio estraibile  ormai smollato che trenitalia ci forniva come servizio a bordo. 
Gustavo la mia colazione continuando a chiedermi a quel punto dove andassero tutte le macchine che vedevo sull'autostrada. Immaginavo viaggi bellissimi, famiglie intere che andavano a trovare i parenti come facevamo noi, oppure erano lavoratori che lasciavano le famiglie per recarsi al nord. 
Le mie gambe ormai erano anchilosate avevo voglia di sgranchirmi e stranamente mi era permesso di alzarmi e fare due passi nel corridoio ma senza spostarmi dal vagone.
La prima meta era il bagno. Il gabinetto era in acciaio con una valvola che bloccava la pipì e si apriva all'improvviso disseminandola improvvisamente lungo il binario. 
Cosi immaginavo i chilometri di cacca  che si confondevano con le pietre che sostenevano le rotaie. Dopo aver ispezionato il bagno e scaricato lo sciacquone per tre volte, ed essermi lavata  ed asciugata le mani con l'acqua vischiosa e la carta marrone e ruvida ritornavo al mio posto.
Simu arrivati? Si, Simu arrivati. Amu scinniri.



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