domenica 5 aprile 2020

Un torpido cammino



Lo sguardo serio e fermo, come quando si guarda un binario, cercando di scorgere la fine, il punto di arrivo; ma l’occhio non lo scorge, se solo avessimo un qualcosa di infinito potremmo coglierlo; ma siamo essere finiti, limitati, capaci di scorgere ciò che è di lato o davanti.
Il binario è desolante, ai lati cespugli aridi, edifici abbandonati e pietre scure.
L’occhio coglie ciò che è percettibile ai sensi, l’andamento è ammortizzato dall’evoluzione di Lucy, il cammino è obbligatorio.
Solo il vento castiga l’aria intorno a noi.
Un gabbiano viene incontro disturbando il nostro passo, agitando le mani lo allontaniamo, ma ritorna ad importunare il nostro atono cammino.
 Lo risospingiamo ma le ali ci percuotono, imponendoci di svegliarci dall’isolamento assordante nel quale ci troviamo. Con un balzo, occhi smarriti e senso si angoscia portiamo le braccia in alto davanti al viso, come in una danza, proteggendoci dalla luce che improvvisamente scorgiamo. Inevitabile l’impatto con il bagliore che penetra il corpo freddo, riscaldando il sangue come il fuoco che divampa tra le foglie secche, torna a circolare con l’irruenza dell’acqua risvegliando ogni singola parte del corpo.
Alito divino che ossigena ogni frammento di noi come la discesa di aria polare che accompagna il Maestrale. Ecco il nostro corpo, terra arida che torna a fiorire, a generare bellezza, capace di cogliere lo spirito d’infino che ci unisce a Dio rendendo quel cammino non più sterile ma avventuriero.