Lo sguardo serio e fermo, come quando si guarda
un binario, cercando di scorgere la fine, il punto di arrivo; ma l’occhio non
lo scorge, se solo avessimo un qualcosa di infinito potremmo coglierlo; ma
siamo essere finiti, limitati, capaci di scorgere ciò che è di lato o davanti.
Il binario è desolante, ai lati cespugli
aridi, edifici abbandonati e pietre scure.
L’occhio coglie ciò che è percettibile ai
sensi, l’andamento è ammortizzato dall’evoluzione di Lucy, il cammino è obbligatorio.
Solo il vento castiga l’aria intorno a noi.
Un gabbiano viene incontro disturbando il
nostro passo, agitando le mani lo allontaniamo, ma ritorna ad importunare il nostro
atono cammino.
Lo
risospingiamo ma le ali ci percuotono, imponendoci di svegliarci dall’isolamento
assordante nel quale ci troviamo. Con un balzo, occhi smarriti e senso si angoscia
portiamo le braccia in alto davanti al viso, come in una danza, proteggendoci
dalla luce che improvvisamente scorgiamo. Inevitabile l’impatto con il bagliore
che penetra il corpo freddo, riscaldando il sangue come il fuoco che divampa
tra le foglie secche, torna a circolare con l’irruenza dell’acqua risvegliando
ogni singola parte del corpo.
Alito divino che ossigena ogni frammento
di noi come la discesa di aria polare che accompagna il Maestrale. Ecco il
nostro corpo, terra arida che torna a fiorire, a generare bellezza, capace di cogliere
lo spirito d’infino che ci unisce a Dio rendendo quel cammino non più sterile
ma avventuriero.
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