mercoledì 22 luglio 2020

Le mamme M.M.


Durante un pomeriggio al mare con delle mamme amiche, si è manifestata la nostra intolleranza nei confronti dei nostri adorati figli.

Ci siamo guardate con un iniziale senso di colpa che è scomparso, annullato dalle risate perché eravamo accomunate da alcune espressioni e modi di fare che ci hanno fatto esclamare: “che mamme di merda!”.

Ma quante mamme sono accompagnate da queste sensazioni ma con il senso di colpa?

Tante.  Eccetto le mamme M.M. (vedi sopra!)

Loro sanno che non tolgono nulla ai propri figli, hanno la consapevolezza di dare tanto ai loro pargoli, ma allo stesso tempo sono altro rispetto al loro ruolo di madri.

In fondo anche le nostre mamme ora settantenni volevano che ci levassimo dai piedi, io ricordo espressioni del tipo: “tinn’a jiri, levati dinnanzi all’occhji mia” e molte volte la loro intolleranza veniva fuori in espressioni come: “ se cadi, ti do il resto”, “mo ti’ ccid”, “ vai a giocare” “abbanne chi t’ha muertu”, “ levati annanzi i pieri” e personalmente ricordo anche diversi man rovesci quando mi intromettevo nei discorsi dei grandi, un’intromissione a gamba tesa nella vita di mia madre.

 Erano manifestazioni forti che non giustificavano l’uso di queste espressioni per azioni del tutto infantili.

Non è vero che la mamma è l’angelo del focolare. 

Questa immagine sessista è stata utilizzata per formare la donna come una perfetta casalinga e mantello domestico capace avvolgere l’intera famigliola.

Non lo è mai stato, la donna ha sempre sofferto per questo tatuaggio.

Le mamme sono anche altro, sono donne, lavoratrici, mogli, amiche, amanti, persone. Molto spesso si avverte un’intolleranza nei confronti di questo ruolo che accomuna molte madri.

 A quante donne capita di desiderare di abbandonare tutto e tutti e scappare su un’isola, coperta dalla sabbia calda e ripulita dall’acqua cristallina, un mojito e sesso a fine serata. Quell’augurio che quasi quasi riproponi come desiderio prima di spegnere le candeline del tuo compleanno, è che qualche parente ti dica: “possiamo prendere i bambini per una settimana?”.

 Pensiamo al momento in cui inaspettatamente resti sola in casa, perché a qualcuno è venuto in mente di portarli fuori, la tua mente comincia ad elaborare cosa fare, poi però ti ritrovi sul divano con il telecomando in mano e l’occhio vitreo.

La tranquillità, la quiete in casa, senza sentire: “ho fame”, “ho sete” e quella richiesta che tra tutte ti fa  sentire la sensazione di una coltellata nel petto quando tua figlia di due anni e mezzo ti chiede: “giochi con me?” e tu l’accontenti, ma dentro di te hai l’onestà di dire: “ma perché cazzo non giochi con quei giochi che ti ho comprato!” oppure “ti ho fatto un fratello apposta, giocate insieme!”.

Anche in questo momento, mentre scrivo un semplice articolo i miei figli litigano tra di loro e più volte hanno urtato il mio pc, la mia espressione è impassibile e arresa alle loro voci fragorose, la mia mente è protetta da una pellicola che difende i miei nervi.

Li guardo. Li adoro.


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