Durante un pomeriggio al mare con delle
mamme amiche, si è manifestata la nostra intolleranza nei confronti dei nostri
adorati figli.
Ci siamo guardate con un iniziale senso di
colpa che è scomparso, annullato dalle risate perché eravamo accomunate da
alcune espressioni e modi di fare che ci hanno fatto esclamare: “che mamme di
merda!”.
Ma quante mamme sono accompagnate da
queste sensazioni ma con il senso di colpa?
Tante.
Eccetto le mamme M.M. (vedi sopra!)
Loro sanno che non tolgono nulla ai propri
figli, hanno la consapevolezza di dare tanto ai loro pargoli, ma allo stesso
tempo sono altro rispetto al loro ruolo di madri.
In fondo anche le nostre mamme ora
settantenni volevano che ci levassimo dai piedi, io ricordo espressioni del
tipo: “tinn’a jiri, levati dinnanzi all’occhji mia” e molte volte la loro
intolleranza veniva fuori in espressioni come: “ se cadi, ti do il resto”, “mo ti’
ccid”, “ vai a giocare” “abbanne chi t’ha muertu”, “ levati annanzi i pieri” e personalmente
ricordo anche diversi man rovesci quando mi intromettevo nei discorsi dei grandi,
un’intromissione a gamba tesa nella vita di mia madre.
Erano
manifestazioni forti che non giustificavano l’uso di queste espressioni per azioni
del tutto infantili.
Non è vero che la mamma è l’angelo del focolare.
Questa immagine sessista è stata utilizzata per formare la donna come
una perfetta casalinga e mantello domestico capace avvolgere l’intera
famigliola.
Non lo è mai stato, la donna ha sempre
sofferto per questo tatuaggio.
Le mamme sono anche altro, sono donne,
lavoratrici, mogli, amiche, amanti, persone. Molto spesso si avverte un’intolleranza
nei confronti di questo ruolo che accomuna molte madri.
A
quante donne capita di desiderare di abbandonare tutto e tutti e scappare su un’isola,
coperta dalla sabbia calda e ripulita dall’acqua cristallina, un mojito e sesso
a fine serata. Quell’augurio che quasi quasi riproponi come desiderio prima di
spegnere le candeline del tuo compleanno, è che qualche parente ti dica: “possiamo
prendere i bambini per una settimana?”.
Pensiamo al momento in cui inaspettatamente resti
sola in casa, perché a qualcuno è venuto in mente di portarli fuori, la tua mente
comincia ad elaborare cosa fare, poi però ti ritrovi sul divano con il
telecomando in mano e l’occhio vitreo.
La tranquillità, la quiete in casa, senza
sentire: “ho fame”, “ho sete” e quella richiesta che tra tutte ti fa sentire la sensazione di una coltellata nel
petto quando tua figlia di due anni e mezzo ti chiede: “giochi con me?” e tu l’accontenti,
ma dentro di te hai l’onestà di dire: “ma perché cazzo non giochi con quei
giochi che ti ho comprato!” oppure “ti ho fatto un fratello apposta, giocate
insieme!”.
Anche in questo momento, mentre scrivo un
semplice articolo i miei figli litigano tra di loro e più volte hanno urtato il
mio pc, la mia espressione è impassibile e arresa alle loro voci fragorose, la
mia mente è protetta da una pellicola che difende i miei nervi.
Li guardo. Li adoro.
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